Nice interview
Lo sapete, le cose gli vanno bene: si è fidanzato, l'ultimo album è multiplatino (che si aggiunge agli altri 6 milioni di dischi venduti) e a luglio riempirà lo stadio olimpico di Roma (questa volta tutto, non solo una curva). Resta da capire: come mai Tiziano Ferro è lo scheletro nell'armadio per molti, cosa ne pensa dei reality show, di Emis Killa, di Burial, di Brian Eno e di Vasco Rossi. Com'è la vita da pop-star e come ci si guadagna il privilegio di snobbare i contratti discografici. L'intervista di Sandro Giorello.
Sei lo scheletro nell'armadio di moltissimi artisti indipendenti, lo sai.
(Ride, NdA) Mi si ascolta ma non mi si dichiara?
Esatto.
(Ride, NdA) E' una cosa che io trovo molto tenera e divertente, anche perché questo mi riconduce anche all'idea che ho della musica, una passione quasi fisica. La musica è come l'erotismo e, come tutto ciò che è condizionato dall'istinto, a volte è qualcosa che ti tocca in maniera così animale che non hai voglia di condividerla con gli altri. Posso dirti che io sono nato come corista nell'ambiente hip hop italiano, gli ATPC, i Sottotono, ho frequentato l'hip hop village per tantissimi anni, e poi ho sempre ascoltato rock. Ho mantenuto rapporti con persone che lavorano in ambienti per nulla adiacenti al mondo del pop, e mi piace: il vero amante del rock e il vero amante del soul e dell'hip hop segue la musica con cuore e passione. Mi dicono spesso: io non ascolto la tua musica ma ti rispetto perché si vede che quello che fai lo fai con quella passione, con quell'istinto incredibilmente onesto.
Sei un po' un'anomalia nella musica italiana.
Oddio grazie, è bella questa.
Non so se sia così rassicurante sai, sei l'unico trentenne che riesce a guadagnare così tanto, la Pausini ha 7 anni più di te, ma gli altri – Antonacci, Ramazzotti, Ligabue, Vasco – ne hanno almeno il doppio in più. Tu ti sei fatto un'idea a riguardo.
Un'idea... guarda abbiamo anche avuto dei vissuti diversi. Io appena ho avuto centomila lire in tasca ho preso e ho viaggiato, me ne sono andato di casa, ho esplorato il mondo, me ne sono anche un po' fregato dell'insicurezza economica che mi circondava nel momento storico in cui stavo affrontando la mia vita indipendente...
Hai vissuto cinque anni in Inghilterra, cosa ti ha dato?
Tantissimo. Manchester, è un po' più bastardo come posto. Le persone non hanno bisogno di chiamare la musica con un nome, chiunque, dall'impiegato al commesso di un negozio, va ad ascoltare musica tutti i giorni. La cosa più bella della realtà inglese è che ti puoi imbattere in esordi importanti senza accorgertene, una sera vai in un club o in un pub, c'è qualcuno che suona e magari siete in 30-40 a guardarlo e due mesi dopo te lo trovi in classifica. Mi è successo con Paolo Nutini, con Sam Sparro, voglio dire, il bello dell'Inghilterra è questo: nessuno ti deve spiegare cos'è la musica, la si respira in maniera quasi compulsiva, non c'è bisogno di distinguere tra genere o altro, l'unica è capire se una cosa ti arriva o no. E poi la musica può essere un lavoro, ne ha la dignità. Da noi se non sei famoso e dici che scrivi canzoni ti guardano storto.
Ti eri trasferito a Londra anche per vivere normalmente, da persona qualunque, cosa che in Italia per colpa dei troppi fan non potevi fare. Fai una vita che non fa nessun altro, mi spieghi cosa vuol dire essere una pop-star?
Il problema non è il fan. Il fan ti rispetta, la cosa che soffro in Italia è la sensazione di essere in un Grande Fratello
continuo, quella sensazione di essere continuamente controllato. Per una persona assolutamente autonoma come me può essere una tortura, è il non poter comprare il latte la mattina perchè scopri che è scaduto, andare in palestra o fare una corsa perchè ti vuoi sfogare e poi farti una doccia. Ti faccio un esempio cretino: mi è successo di sentire i clic della macchina fotografica mentre mi facevo la doccia. Vivere a Manchester senza questo tipo di pressione mi ha dato molta libertà, anche solo la possibilità di piangere mentre scrivi un testo al tavolino di un bar, o sparire per due ore senza dire niente a nessuno solo perchè magari hai un'idea da sviluppare. Sono cose piccole, ma i 5 anni in Inghilterra sono stati sicuramente i più creativi.
Questo disco doveva essere interamente swing, poi cos'è successo?
Non mi sono venute tutte le canzoni così, l'idea era quella, volevo farlo così, ma le cose a tavolino non si fanno mai. A tavolino ho deciso di andare a fare l'università in Messico e quando ho finito ho capito che la mia vita non era là. A tavolino ho scelto di andare in Inghilterra ma dopo 5 anni non ce l'ho fatta e ho sentito il bisogno di ritornare qua. Qui ho iniziato a scrivere nuove canzoni, ne ho scritto alcune che poi non ho pubblicato e altre che hanno avuto la meglio. Sarebbe bello... il mestiere dell'autore io me lo sogno sempre così: sai quei quaderni bellissimi, rilegati, che compri in quelle cartolerie che sembrano gioiellerie, tu seduto, ti arriva il pensiero nobile, lo scrivi in questi bar romantici, che ne so a Dublino o a Berlino. Invece no: compri questi quaderni, non li riempi mai, perché le idee poi le scrivi dietro gli scontrini, mentre sei in treno, mentre stai in aereo, mentre sei di corsa, te le segni sul cellulare. I dischi precedono le tue aspettative.
Convincimi che invece non è arrivato un discografico e ti ha detto: un intero disco swing sarebbe un suicidio.
No, ma va, con tutto il bene che gli possa volere... il disco è mio, c'è il mio nome sopra, quando morirò sarà ancora lì, non voglio rischiare di lasciare un qualcosa che non mi piaccia. No, no... i discografici vengono ad ascoltare il disco quando è quasi finito e non si permettono mai di dire nulla. L'unica cosa che mi consigliano è per le versioni del disco all'estero, nello specifico per i duetti con particolari artisti. Per il resto, siccome ogni mio disco ha avuto il bel risultato di superare le vendite del precedente, ho sempre avuto il privilegio di fare cosa volevo. Per “L'amore è una cosa semplice” siamo andati a Los Angeles, abbiamo preso la band, l'abbiamo suonato dal vivo...
Allora convincimi che non hai fatto la cover di Nesli solo per accaparrarti un po' di pubblico adolescente.
Vabbè dai... Mi fai diventare cattivo. (Ride, NdA)
Diventa cattivo allora.
No dai, quella è una canzone che avrei voluto scrivere io. E' il Me prima di essermi liberato da determinati fantasmi, se c'era un elemento che mancava a questo disco è il Tiziano incazzato con la vita, ma erano cose che io non potevo più scrivere.
Però gli “eh, oh” di “La differenza tra me e te” fanno davvero Vasco Rossi, di “Eh... già”.
(Ride forte, NdA). Come alla Vasco Rossi? Madonna, aiuto... Manco il Vasco di “Stupendo”, quello di “Eh... già”. Il mio commento è: mi stai registrando, non posso dire quello che penso veramente.
“L'amore è una cosa semplice” è il tuo disco più sereno e positivo.
Ho intrapreso un percorso che mi ha portato a sciogliere nodi e liberarmi da particolari fantasmi. Mi chiedevo se avessi perso la vena creativa, che poi ho scoperto non essere figlia solo e semplicemente del dolore. L'ispirazione, se sei una persona sensibile, passa per frequenze anche molto diverse: passa attraverso il sorriso, la serenità. Se tu vivi con la stessa semplicità, con la curiosità, poi l'idea arriva con la stessa spontaneità che avevi quando stavi male.
Nei tuoi album ci sono spesso immagini piuttosto ansiogene che hanno a che vedere con l'insicurezza personale, di solito sono a inizio disco. L'esempio migliore è “Tarantola d'Africa”, la prima di “Nessuno è Solo”(2006)...
...si quella, “Tarantola d'Africa”, è a dir poco surreale...
…ma anche le prime di “111” (2003) o di “Alla mia età” (2008) hanno una certa tensione. In “L'amore è una cosa semplice”, che è più solare, la prima parola è comunque “Odio”. Insomma, è come se volessi infastidire chi ascolta, il che è un po' strano per dei dischi pop.
Si, soprattutto con l'inizio di un disco. Il valore emotivo che ha la prima traccia di un disco secondo me è inclassificabile. Certo, i dischi li devi ascoltare bene per capirli, per carità, però non ci prediamo in giro, gli album che ti stravolgono, che ti emozionano, che ti fanno incazzare, li capisci già dalle le prime canzoni. La prima traccia deve essere quasi una dichiarazione di guerra. E' come il proemio, è come per dire: ti sto per annunciare quello che sta per arrivare ma non è ancora arrivato il momento di dirtela tutta. E' una provocazione, ovvio, ma se c'è una macchia di astio nel disco me la gioco sempre nella prima traccia, è vero.
Viviamo in un periodo in cui i reality show guidano gusti e scelte musicali, c'è differenza tra una carriera come la tua e quella di qualche personaggio da reality?
Io penso che questo sia un momento di grande confusione, anche per via delle classifiche dominate da personaggi dei reality che durano una stagione e poi spariscono. Credo che ci si possa affezionare di più ad una persona che si espone negli anni, che compie una crescita. Non ho avuto la fortuna di diventare famoso e poi fare un disco adesso invece succede così, o almeno succede spesso. Mi ritrovo ad avere un'esposizione pari a quelli che fanno i reality show ma l'ho ottenuta dopo anni di lavoro su un progetto.
Anche in conferenza stampa sei stato parecchio critico sull'argomento.
Guarda, io ho poco da essere critico (ride, NdA) perchè sono stato il primo a produrre un personaggio da reality show, Giusy Ferreri, e l'ho fatto con grande gioia. Poi mi è sembrato che la cosa abbia preso una piega eccessiva. E' chiaro che, statisticamente, ogni anno non possano uscire 20-30 artisti bravissimi, si sa: artisti giovani e forti ne escono solo una volta ogni tanto. Diciamo che ci siamo fatti un prendere un po' la mano.
Chi ha vero talento oggi?
Io ho una fissa quasi compulsiva per l'hip hop italiano. Il mio disco preferito, soprattutto a livello lirico, è quello di Marracash. Mi piace moltissimo Emis Killa. C'è una ragazza di Roma molto brava che si chiama Baby K, lei mi piace tanto, mi è sembrato un bagliore di luce interessante, si sente che è pronta a fare qualcosa.
Domenica Killa era alla Fnac di Milano a firmare autografi. Il negozio era completamente pieno e l'età media era 12-13 anni. Cosa ne pensi di questo nuovo interesse, soprattutto nei giovanissimi, verso il rap?
Mi colpisce come cosa, io a 17 anni cantavo da corista per gli ATPC, era il '97 e venivo già da anni e anni di militanza nei piccoli club di Roma. Ascoltavo gli OTR, Bassi, i Colle Der Fomento. Pensare che un ragazzino di 12-13 anni oggi si appassioni all'hip hop mi fa tenerezza, io spero che sia una cosa onesta. L'unica cosa che consiglio è: andate anche indietro nel tempo. Spero che questi ragazzini capiscano chi hanno davanti e perchè sono lì. Quindici anni fa non c'erano così tante persone alle presentazioni dei dischi di esordienti hip hop. Mi piacerebbe fossero anche un minimo informati, spero non sia solo una questione di moda, insomma.
Tempo fa in un'intervista hai dichiarato di amare molto Burial e Brian Eno. Perchè non chiamare Eno al posto di John Legend?
In realtà perché, e si collega anche a quanto ti ho detto dell'hip hop, io negli ultimi anni mi sono tolto degli sfizi anche da fan. La mia passione più grande, da vero fan, è verso l'hip hop, il soul, se dovessi togliermi uno sfizio piuttosto continuerei a chiedere collaborazioni a persone di questo tipo, non che Brian Eno non mi piaccia. Burial bisogna provare a beccarlo, neanche sua sorella riesce a trovarlo. Me lo immagino come un fantasma che si aggira per Londra.
Cosa stai ascoltando ultimamente?
'sto a ruota con Emis Killa, con Baby K anche se ho poche canzoni, Marracash, Ben Westbeech, il disco che è uscito adesso è molto bello, e poi il disco più bello del momento è Drake.
Abbiamo celebrato il funerale del disco, cosa resta dell'industria discografica dopo il crollo?
Beh, c'è poco da dire. A me fa molta rabbia sentire chi parla di prezzi eccessivi dei dischi. Voglio dire: la stessa persona che si lamenta che il disco costa troppo, poi mi chiede di farsi una foto con l'iPhone, paga abbonamenti internet e cellulari che vanno ricaricati ogni settimana, ha l'iPad. La verità è che il disco è diventato riproducibile a 0 euro e a pari qualità.
E' solo colpa di chi scarica o di chi per anni ha prodotto cose da “scaricare”, nel senso di usa e getta?
Sicuramente sì, l'idea che escano tantissime cose ogni stagione, provare a duplicare il tanto sempre, ovviamente demotiva l'acquirente che si trova un po' spaesato. Ma, ecco, sono anche un po' polemico verso chi dà la colpa alla discografia, ai discografici, è troppo semplice. Secondo me la colpa è di chi scarica illegalmente.
Sei circondato da molti artisti pensionabili mentre tu hai ancora, solo, 32 anni. Lo so che sembra provocatorio chiederlo a uno che ha venduto più di 6 milioni di dischi: ti spaventa il futuro?
Oh, sì (ride, NdA). Io ti posso dire, anche in maniera piuttosto cinica, che nella mia vita ho sempre fatto scelte da folle, l'ultima, per risponderti in breve, è che questo è l'ultimo disco a contratto. Io non ho firmato con nessuno,sono libero e lo sarò al 100%. Nonostante mi abbiano offerto degli anticipi garantiti che non ho mai visto in vita mia preferisco rinunciare ai soldi a fronte della libertà e anche del bisogno adesso di fermarsi un attimo e riflettere. Io dal 2013 non saprò cosa vuol dire avere un contratto.
Immagino te lo potrai permettere.
Inizialmente ho avuto dei contratti svantaggiosi, sono riuscito ad abituarmi ad un tipo di ricchezza assolutamente normale, da libero professionista non certo da lusso estremo.
Cioè, con un multiplatino non vivi nel lusso?
Beh, con i contratti che ho firmato io dieci anni fa no... Ma succede a tutti, i primi anni investi più su te stesso, è storia comune di molti. Adesso che potrei davvero spingere l'acceleratore non mi interessa, i soldi non mi hanno mai guidato e ora posso godermi il privilegio di non esserne schiavo. Per fortuna (marca bene la parola “fortuna”, NdA) la linea di separazione tra scegliere e subire questa cosa è stata molto sottile: magari se avessi avuto dei contratti molto vantaggiosi e guadagnato soldi in maniera sproporzionata alla vita che facevo, ora avrei bisogno di un range di denaro medio-altissimo, ripeto, ne sarei schiavo.
Sei povero?
No, faccio una vita da libero professionista, buona, ma sicuramente sproporzionata rispetto a chi fa il mio lavoro e raggiunge i risultati che ho avuto io ultimamente.
"Ho passato tanti anni in una gabbia d'oro. Si forse bellissimo, ma sempre in gabbia ero". E' la nemesi contemporanea della musica mainstream?
E' una frecciata nei confronti del ruolo della fama, è un momento storico in cui la fama... in cui si confonde un po' il fine con il mezzo. Se tu ami la musica e scrivi canzoni da quando sei nato, il fine è farne un mestiere, far sì che la musica sia quello che ti dà da vivere e per cui ti svegli la mattina. Nel paese nel quale viviamo, che è geograficamente piccolo se lo paragoni al mondo, sono poche le persone che riescono a vivere di musica, per cui la fama diventa un buon mezzo: se tu fai una cosa e quella cosa grazie a Dio piace ad un sacco di persone, di colpo puoi diventare libero, fare quello chevuoi e vivere di quello che fai. La fama è un buon mezzo, ma non è il fine. Io
non faccio quello che faccio per la fama, la faccio grazie anche alla fama, grazie all'esposizione che ho ogni volta che esce un mio disco nuovo, ma bisogna stare attenti a non confondere il fine con il mezzo. Il rischio è che qualcuno inizi a pensare che la fama sia davvero l'obiettivo, per status, per soldi, per comodità, allora si finisce nella gabbia d'oro, che è dorata ma che ti limita fisicamente, mentalmente, e ti ritrovi che non sai nemmeno fare una lavatrice da solo.